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«Violenza sulle donne? Da immigrati incidenza maggiore». L’intervista di Meloni a La Verità

«So che mi daranno della razzista ma è la realtà. La sfida è culturale. Garantire presenza di polizia e pene certe. L’occupazione femminile cresce, la detrazione per il coniuge a carico vada a quello che non lavora»

di Maria Elena Viola

Dall’inizio dell’anno a oggi, secondo il Ministero dell’Interno, sono stati registrati più di 90 femminicidi. Arriveremo, per la fine dell’anno, ai “soliti” 100. Ci sono le leggi, aumentano le denunce. Eppure questa strage non si ferma. Cosa possiamo fare di più?

«È un tema sul quale mi sono molto interrogata. L’Italia ha una legislazione molto importante su questa materia, legislazione alla quale, tral’altro, ha contribuito anche questo governo con un’ultima legge che è stata approvata un anno fa all’unanimità delle forze politiche, una delle poche cose che siamo riusciti ad approvare all’unanimità. Quindi, penso che la sfida sia soprattutto di carattere culturale, arrivati a questo punto: le norme non mancano, gli strumenti non mancano, le risorse quelle mancano sempre ma, comunque, dedichiamo delle risorse a questa materia.

Forse il dibattito non è sufficiente, nel senso che io trovo che, molto spesso, di questa materia si parli un po’ anche accettando lo scontro ideologico quando, invece, non ha proprio senso ne dividersi né cercare il buono e il cattivo. E una di quelle materie sulle quali bisogna tutti, indipendentemente dal partito politico, sedersi intorno a un tavolo per interrogarsi e forse questo noi non lo stiamo facendo abbastanza. Nel senso che, ripeto, io mi sono molto interrogata e non credo di avere le risposte a questa domanda, però ci sono degli elementi che, secondo me, dobbiamo considerare. Abbiamo parlato moltissimo del film di Paola Cortellesi.

A me è piaciuto molto, è un film che racconta un tempo nel quale, diciamo così, la violenza contro la donna, ovvero la sopraffazione della donna, era quasi accettata nella società. Noi, in teoria, non viviamo più in un tempo del genere. Eppure lei ricordava che il numero dei femminicidi rimane sostanzialmente immutato. È come se, una volta, la violenza sulle donne fosse legata di più a una, come posso dire, degenerazione dell’idea di essere superiori che gli uomini avevano e oggi, invece, fosse più legata a una debolezza. Prima c’era violenza perché, in qualche maniera, era socialmente accettata mentre oggi accade perché le donne non lo accettano.

E allora c’è una evoluzione della motivazione che noi dobbiamo studiare, che dobbiamo capire. E penso che anche quello che sta accadendo ai giovani è qualcosa su cui ci dobbiamo molto interrogare. Ho apprezzato molto che voi abbiate coinvolto i giovani, lo abbiamo fatto anche noi, lo abbiamo fatto per esempio con un concorso per i cortometraggi nelle scuole italiane: in poco tempo hanno partecipato tantissime scuole. I lavori sono stati straordinari, i migliori sono stati premiati al Festival di Venezia. Stiamo cercando di coinvolgerli perché, secondo me, dobbiamo interrogarci su quello che sta accadendo soprattutto alle giovani generazioni.

Se noi non capiamo un fenomeno che, nonostante l’evoluzione della società, rimane immutato e non ne capiamo le ragioni per cui questo sta accadendo, temo che non riusciremo a essere così efficaci nella soluzione. Alla base non c’è una questione che riguarda le leggi o le risorse a disposizione mail riuscire a lavorare sulla dimensione culturale di questo fenomeno. Penso che sia davvero una di quelle questioni sulle quali chiunque abbia qualcosa da dire, deve poterlo dire. Perché se noi ci chiudiamo dietro agli stereotipi e alle divisioni, temo che non faremo mai il lavoro di approfondimento necessario per affrontare il problema in modo serio».

Si dice che il lavoro rende libere e in effetti è vero che tante storie di violenza nascono all’interno delle mura domestiche, le donne sanno di essere all’interno di rapporti maltrattanti dai quali non possono uscire perché sono dipendenti economicamente dal marito perché, appunto, non lavorano. Allora che cosa sta facendo e cosa può fare di più il governo per promuovere il lavoro femminile, garantendo anche pari trattamento dal punto di vista economico e di carriera per uomini e donne?

«Guardi che cosa il governo ha fatto per aumentare l’occupazione femminile perché è vero che noi siamo fanalino di coda ma è anche vero che stiamo vivendo, in questo momento, anche il massimo dell’occupazione femminile mai registrata dall’Unità d’Italia a oggi. Abbiamo finalmente sfondato il tetto delle 10 milioni di lavoratrici. Sono in gran parte contratti stabili, a tempo indeterminato. E un tema sul quale mi sono molto dedicata.

Io penso che questa sia la chiave della parità. La vera chiave della parità è nella tua possibilità di scegliere e di realizzarti. Abbiamo lavorato tantissimo sugli incentivi all’assunzione femminile. La super deduzione del costo del lavoro, per esempio, è più alta se si assumono donne, particolarmente nelle Regioni del Mezzogiorno. Abbiamo destinato oltre 3 miliardi di euro per l’assunzione soprattutto delle donne a tempo indeterminato. Il dato interessante è che gran parte dei contratti che aumentano sono a tempo indeterminato, contratti stabili.

Chiaramente, c’è ancora del lavoro da fare per quelle donne che scelgono di non lavorare. Le faccio un esempio di una cosa che può essere considerata una stupidaggine ma che, secondo me, rappresenta un passaggio culturale non irrilevante. Noi abbiamo adesso da fare tutta la revisione delle tax expenditures e tra queste e’è anche la detrazione per il coniuge a carico. Io penso che le risorse della detrazione per il coniuge a carico non debbano andare al coniuge che lavora ma al coniuge a carico. È una cosa proprio banale, nel senso che non cambia la vita di nessuno, però è un messaggio, un principio: non dipendere.

Ci sono anche delle piccole cose che si possono fare: noi abbiamo lavorato, per esempio, anche per rendere strutturale il reddito di libertà, quel reddito che riguarda le donne che sono propriamente vittime di violenza. Quindi ci stiamo adoperando per incentivare le donne ad avere un lavoro, ad avere una carriera e a poter dimostrare il proprio valore. Io non ho mai pensato che la soluzione ideale fosse il sistema delle “quote” da tutte le parti. Io penso che la soluzione ideale sia rimuovere i condizionamenti e i limiti che non consentono alle persone di dimostrare il proprio lavoro, di non poter competere ad armi pari.

Le donne hanno avuto una difficoltà a competere ad armi pari e questo aspetto riguarda anche il tema dei figli, ovvero il dover scegliere tra mettere al mondo un bambino e il poter avere una carriera. Questa è un’altra materia sulla quale questo governo ha concentrato il grosso del suo lavoro, il tema delle madri lavoratrici. Se io non sono costretta a scegliere, per esempio, tra essere madre e poter avere una carriera, lo posso fare più facilmente perché sono, diciamo così, un lavoratore privilegiato.

Ma tanti non lo possono fare. Allora abbiamo lavorato tantissimo su questo aspetto: l’aumento degli asili nido è scritto nel Pnrr, ci sono risorse che ti consentono praticamente di non pagare l’asilo nido per il secondo figlio, l’aumento dell’assegno unico, la decontribuzione delle mamme lavoratrici: sono tutti i benefici che, per una madre lavoratrice, possono arrivare fino a oltre 5.000 euro di vantaggi l’anno. E penso che anche questo tema sia molto importante: il congedo parentale. Ricordo che noi abbiamo aumentato di tre mesi il congedo retribuito all’80%».

I dati ci dicono che una donna su cinque lascia il lavoro all’arrivo del primo figlio. Cosa si può fare di più per le madri lavoratrici? Oltre agli asili nido e ai bonus per le mamme, quindi aiuti economici, ma anche a livello di congedo di paternità, perché i figli sono delle madri, ma anche dei padri. Quindi è giusto che i carichi vengano equamente condivisi da entrambi i genitori.E vanno responsabilizzati anche gli uomini.

«Non sono mai convinta che l’obbligo sia una soluzione. Io sono sempre convinta che la libera scelta sia la soluzione. Noi abbiamo lavorato sul congedo parentale retribuito al 1’80%, vale per la madre e vale per il padre. Poi credo che all’interno del nucleo familiare ci si debba autodeterminare. Le opportunità devono essere le stesse ed è quello su cui abbiamo lavorato noi: non abbiamo lavorato sul congedo di maternità, abbiamo lavorato sul congedo parentale.

Oggi un padre o una madre che decidono di prendersi un mese per prendersi cura del figlio, prima venivano retribuiti al 30% e quindi, madre o padre che fosse, non lo potevano fare perché, con i redditi e i salari che abbiamo oggi, il 30% della retribuzione non sarebbe stata sufficiente. Oggi sia il padre sia la madre che decidono, oltre quello che è già previsto per legge, di prendersi un mese per accudire i propri figli vengono retribuiti all’80%».

Ma c’è un problema culturale che gli uomini si vergognano ancora in Italia a prendere il congedo parentale.

«Su questo sono d’accordo ed è qualcosa su cui bisogna lavorare. Non so, però, quanto lo possiamo risolvere con un obbligo. Il congedo parentale lo abbiamo ampliato, si utilizza fino al sesto anno di vita del bambino, quindi non è legato, non è il congedo di maternità. È un congedo che consente alla famiglia di organizzarsi perché non si smette di essere genitori dopo i primi mesi di vita del figlio. Per cui, se un bambino s’ammala o, magari, c’è un problema da risolvere, qui si può utilizzare il congedo, che si prende a condizione necessaria.

Se noi lo mettessimo obbligatorio, potremmo anche aumentarlo ma non avrebbe lo stesso impatto culturale. Ha più senso se noi, su questo, lavoriamo sul piano culturale perché ci può dare una risposta che può essere utile senza, però, comprimere quello che perché tre mesi sono tre mesi. Tra i dieci giorni di obbligo del padre e i tre mesi che ciascuno dei due genitori può prendere, probabilmente le famiglie sceglierebbero il secondo perché c’è molto più tempo per organizzarsi, c’è molta più efficacia, poi, nell’organizzazione della famiglia. Però, sul tema culturale, questa è una battaglia che mi interessa».

Ancora molte donne non denunciano a causa della vittimizzazione secondaria o perché temono di non essere credute o di essere giudicate male. E, spesso, questo accade anche nelle questure e nelle aule di tribunale. Quanto è importante e cosa si può fare di più per la formazione di magistrati e forze dell’ordine che trattano casi di violenza.

«È molto, molto importante questro aspetto. C’è un tema di paura, di vergogna, è una sfera estremamente intima ed è molto difficile capire come una persona può reagire o meno. E, quindi, ci vuole per forza una formazione che sia specifica. L’abbiamo previsto, per esempio, per i magistrati: nella legge che abbiamo fatto c’è una specializzazione che riguarda proprio i giudici. Anche sulle forze dell’ordine bisogna impegnarsi, sono il primo contatto per una donna.

Bisogna fare dei passi sicuramente in avanti così come li facciamo anche in ambito scolastico. È un tema sul quale la formazione va fatta a 360 gradi ma, anche qui, sottolineo che sono stati fatti dei fondamentali passi in avanti».

Il femminicidio è la deriva estrema di atti violenti e la violenza si può esprimere in tanti modi, anche attraverso il cat calling, attraverso le molestie per strada. Le donne oggi, soprattutto nelle grandi città, hanno paura di girare da sole. Che interventi metterete in campo per migliorare e rendere più sicure le città per renderle più sicure, per esempio, di sera?

«lo vengo accusata ogni giorno di aver introdotto troppi nuovi reati… Quello della sicurezza è un tema che, soprattutto nelle nostre città, è sempre più evidente. Noi, con l’aumento delle assunzioni tra le forze dell’ordine, abbiamo dato un segnale molto importante. Siamo impegnati anche per quanto riguarda il trattamento delle forze dell’ordine, perché la condizione nella quale uno lavora fa la differenza. Il tema vero è il contrasto all’immigrazione illegale di massa.

Adesso verrò definita razzista ma c’è una incidenza maggiore, purtroppo, nei casi di violenza sessuale da parte di persone immigrate soprattutto illegalmente. Questo perché, chiaramente, quando non hai niente, si produce una degenerazione che può portare da qualsiasi parte. E, quindi, anche il contrasto all’immigrazione illegale di massa è un elemento di questo fenomeno. E c’è un lavoro da fare che è soprattutto securitario.

Qui la dimensione culturale c’entra di meno: bisogna garantire la presenza delle forze dell’ordine, garantire che ci siano i reati, garantire che quando qualcuno commette un reato paghi per quel reato. Il tema di contrasto all’immigrazione illegale di massa è una delle materie su cui il governo si spende di più».

I centri antiviolenza svolgono un importantissimo ruolo per accogliere e soccorrere le vittime di violenza. Purtroppo, però, delle volte, non bastano le risorse per poterle accompagnare in tutto il percorso di autonomia, per affrancarsi da situazioni, appunto, di maltrattamenti, di abusi di uomini maltrattanti. E questo percorso rimane a metà. E questo perché i fondi pubblici non sono sufficienti o, spesso, arrivano ma vengono erogati con tempi lunghissimi. Quali interventi può fare il governo per mettere a disposizione maggiori risorse per questi centri?

«Noi abbiamo quasi raddoppiato le risorse, gia nella prima legge finanziaria l’abbiamo fatto, per il piano antiviolenza e, quindi, anche per i centri antiviolenza. Chiaramente sappiamo che le risorse in Italia non bastano mai e, quindi, cercheremo di fare degli sforzi ulteriori. Mi pare anche che siano risorse ben spese nel senso che una maggiore presenza di strumenti che consentano ai centri antiviolenza di essere anche più efficaci nel loro lavoro stanno portando anche a molte più donne a rivolgersi a questi centri, così come al numero antiviolenza.

Aumentano le chiamate a questo numero perché abbiamo fatto una importante campagna, tutti quanti insieme, anche di informazione e di formazione che sta dando dei risultati. Insomma, sono i numeri che fanno capire che sono risorse ben spese, che è energia ben spesa. Poi, certo, speriamo di riuscire a fare sempre di più compatibilmente con una situazione che in Italia facile non è ma, sicuramente, una delle questioni sulle quali il governo ha cercato di dare dei segnali di attenzione decisa è il tema delle tempistiche.

Lì è un po’ più complesso per me, perché le risorse, come si sa, sono gestite dalle Regioni e, quindi, accade che ci siano anche situazioni abbastanza diverse tra le varie istituzioni in termini di burocrazia. Per quanto riguarda la tempistica, noi possiamo fare moral suasion, diciamo, ma poi siamo soprattutto quelli che le risorse le devono mettere e poi dobbiamo cercare di lavorare insieme alle Regioni magari per fare delle normative che siano un po’ più armonizzate e vedere dove è possibile anche lavorare per semplificare il tutto».

La «Road map» contro le violenze che abbiamo realizzato nel corso dei mesi, con l’aiuto ed il supporto di un team di esperti, si propone di cambiare la cultura che genera la violenza attraverso 25 proposte concrete. E se almeno una di queste proposte venisse accolta dal governo con un’azione concreta, per noi sarebbe già un grandissimo traguardo.

«Noi siamo sempre interessati al contributo che può dare la società civile. Non ho mai pensato che la politica potesse avere da sola le risposte a tutte le domande. Deve avere la capacità di ascoltare e il buon senso per scegliere cosa è “sì” e cosa è “no”, chiaramente secondo una visione, secondo le convinzioni che si hanno. Però, come le dicevo, questo è veramente uno di quei temi su cui io vedo tante polemiche veramente inutili. E sono contenta quando si riesce a lavorare insieme, penso che si debba lavorare insieme e, quindi, sono interessata al lavoro che voi avete fatto, cercando di mettere insieme livelli diversi e ambiti diversi, su una materia che è molto, molto complessa. lo non credo che noi abbiamo ancora tutte le risposte e allora dobbiamo continuare a cercarle.

Ma se non parliamo, se non pensiamo, se non ragioniamo, se non approfondiamo, non ci arriveremo mai. Quindi leggerò le vostre proposte e sono certa che ne verrà fuori qualcosa di concreto».