Una donna in piedi vestita di bianco avvolta in una bandiera venezuelana, ferma davanti a un blindato della polizia con le mani sul volto per proteggersi dai gas lacrimogeni.
Una fotografia scattata durante le proteste a Caracas il 19 aprile che ha fatto il giro del mondo e che descrive la repressione che vive il popolo venezuelano. Lo aveva annunciato il presidente Nicolas Maduro la sera del 18 aprile: “Ho attivato un piano strategico speciale civile-militare per garantire il funzionamento del paese, la sicurezza e l’ordine interno: il piano Zamora”. Secondo lui doveva “evitare un colpo di Stato organizzato dal governo degli Stati Uniti insieme ai membri dell’opposizione venezuelana”.
Ma cosa sarebbe il piano Zamora? Il presidente Maduro non ha spiegato di preciso le misure del cosiddetto piano di sicurezza. Ma è opportuno ricordare l’esercitazione militare “Anti-imperialista Zamora 200” realizzata lo scorso 14 gennaio nel “Fuerte Guaicaipuro” alla presenza di 120 mila militari. Il piano prevede lo schieramento dei militari in tutti gli ingressi della capitale, così come “la partecipazione del popolo”, secondo il comandante generale della Guardia Nazionale, Antonio Benavides. In altre parole, il dispiegamento delle milizie o “colectivos” come truppe d’assalto, che assieme ai militari sarebbero 580 mila persone pronte ad agire in difesa della “rivoluzione chavista”. Il tutto per giunta sotto la guida del generale delle Forze Armate cubane, Joaquín Quintas Sola.
Otto persone sono state uccise da colpi di pistola durante le proteste dal 4 al 19 aprile. Secondo la stampa sembra che almeno 4 delle vittime siano state provocate dalla Polizia Nazionale Bolivariana (PNB) e dalla Guardia Nazionale (GN). Le altre sono state assassinate dai gruppi armati filogovernativi che hanno sparato contro i manifestanti disarmati. E non solo, il sistema giudiziario ha ripreso la strategia dell’incarcerazione di massa in voga durante le proteste del 2014: dal 4 aprile 2017 ad oggi si contano più di mille arresti in tutto il paese, di cui oltre 500 avvenuti il 19 aprile, secondo dati del “Foro Penal Venezolano” (organizzazione venezuelana non profit dedicata alla difesa gratuita delle vittime della persecuzione politica).
Sono otto le giornate di manifestazione da quando il Parlamento è stato esautorato. La scintilla è stata la sentenza della Corte Suprema di Giustizia che ha assunto i pieni poteri del Parlamento e ha oltraggiato i deputati eletti dal popolo, privandoli anche della loro immunità. Un golpe strisciante del Presidente Nicolas Maduro, che ha violato la Costituzione: “In questa sentenza ci sono diverse violazioni dell’ordine costituzionale”, ha detto Luisa Ortega Diaz, massimo rappresentante del Ministero Pubblico venezuelano.
Allora sorge la domanda inevitabile: c’è un colpo di Stato orchestrato dagli Stati Uniti? No, è evidente che “Maduro ha fatto un colpo di Stato”: lo ha denunciato Luis Almagro, segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), sottolineando che “quello che temevamo purtroppo si è materializzato”. Perchè il Venezuela soffre un progressivo smantellamento della sua democrazia da un po’ di tempo, la sentenza della Corte Suprema di Giustizia è stata soltanto la stoccata finale per l’annichilimento del Parlamento, che dalla sua elezione nel dicembre 2015 non aveva potuto mai esercitare la sua funzione perché ogni azione legislativa veniva abolita con una sentenza della Corte. In Venezuela la giustizia è completamente sotto il controllo dal Presidente.
Ora il Paese si trova sull’orlo di una guerra civile. L’opposizione ha intenzione di resistere in piazza finché ci sarà la rinuncia di Maduro o la convocazione di elezioni anticipate. Solo il 19 aprile sono scesi in piazza almeno sei milioni di persone in tutto il Paese e le manifestazioni pacifiche sono state attaccate con l’uso eccessivo ed improprio di bombe lacrimogene, sganciate anche dagli elicotteri. E i “colectivos” appaiono sempre come paladini armati della rivoluzione.
Undici paesi latinoamericani chiedono il rispetto dei diritti umani in Venezuela. Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Honduras, Messico, Paraguay, Perù e Uruguay hanno pubblicato un comunicato congiunto, lunedì 17 aprile, lanciando un appello al governo di Maduro: “si deve garantire il diritto del popolo di manifestare pacificamente”. E ieri l’Unione Europea, attraverso la sua portavoce Nabila Massrali, ha condannato gli atti di violenza nel Paese sudamericano.
Di fronte a questo dramma, il governo italiano segue “con preoccupazione” l’evolversi della situazione. Lo ha riferito il sottosegretario al Ministero degli Affari Esteri, Benedetto Della Vedova, rispondendo in Senato a un’interrogazione del senatore Luis Alberto Orellana (Aut), nella quale si chiedevano delucidazioni dopo l’annullamento del potere legislativo. Lo stesso Orellana, unico senatore italo-venezuelano, ha detto che aspettava una posizione ancora più chiara da parte del governo e ha evidenziato che “due aspetti non vanno trascurati in questo momento: la condizione dei prigionieri politici e il ripristino di un calendario elettorale, dal momento che le elezioni regionali che avrebbero dovuto svolgersi lo scorso dicembre non si sono tenute”.
“Il rapporto con il regime di Maduro deve essere sospeso”. Ha affermato il consigliere Giovanni Donzelli, redattore della mozione che di recente è stata approvata all’unanimità dal Consiglio regionale della Toscana. “Nelle ore drammatiche in cui Maduro trasformava con un colpo di stato il Venezuela in una dittatura esautorando il Parlamento, la Regione Toscana ha approvato una mozione che prende una posizione chiara. Siamo in una situazione di completa privazione dei diritti democratici – ha sintetizzato il capogruppo di FDI – che si inserisce in una crisi economica insostenibile: mancano pane, medicinali”. Per questo la mozione chiede alla Regione Toscana e all’Italia di interrompere qualsiasi rapporto con il Venezuela, fino a quando le condizioni non saranno cambiate.
Non si può continuare a tacere sul Venezuela. Gli italo-venezuelani (una comunità di oltre 2 milioni di persone) hanno bisogno di chiarezza, oltre le parole di preoccupazione necessitano di una azione internazionale più energica in difesa della democrazia e dei diritti umani. È chiaro che un popolo pacifico non può nulla da solo contro la repressione delle forze dell’ordine e contro i delinquenti armati dal governo. Continueranno le proteste e purtroppo anche la repressione.