Mimmo Lucano, a cui la sinistra ha fatto una statua per il “modello” di accoglienza di Riace, avrebbe utilizzato soldi pubblici stanziati per gli immigrati per fare prestiti ad amici e conoscenti in cambio di voti e favoritismi.
E’ l’accusa contenuta nelle carte dell’inchiesta (LEGGI QUI), di cui alcuni estratti sono stati pubblicati dalla stampa.
Secondo quanto riportato da IlGiornale.it , Lucano ordinava alla sua fida collaboratrice Cosimina Ierinò di pagare “il fornitore Gervasi Alberto, titolare di un alimentari in Riace, senza che ci fosse una reale operazione commerciale”.
Il bottegaio in questione, spiega la testata online, “è il padre dell’ex vicesindaco di Riace, Giuseppe Gervasi”.
Un metodo che sarebbe servito a consolidare il potere e mantenere in piedi un sistema che fruttava così tanto. Milioni che, secondo la Procura di Locri, venivano spesi per scopi personali. E’ un altro aspetto che emerge sul business dell’accoglienza che continua a cercare spazi.
IlGiornale.it riporta anche alcune intercettazioni: “…pure Giuseppe, (il vicesindaco ndr) non credere, il padre vuole anticipato i soldi sui bonus …ma ti rendi conto che qua noi non sappiamo se andiamo avanti, ti diamo tutti questi soldi poi come ce li restituisci…”, dice Lucano.
E ancora: “Ovviamente io devo cedere perché sono con le spalle al muro sistematicamente o per la politica o per un cazzo o per un altro e praticamente noi dobbiamo anticipargli i bonus… non li raccoglie mai perché non vende nulla, non vende nulla“.
Lucano, nelle intercettazioni pubblicate da IlGiornale.it, parla esplicitamente di una “banca”: “Noi siamo come la banca“, dice. Una banca che agiva in cambio di appoggi.
L’accusa, spiega il quotidiano online, sottolinea nelle carte dell’inchiesta come a quella conversazione ci siano tutti i riscontri “trovati dall’esame della documentazione allegata alla Rendicontazione Sprar 2016 e dall’esame degli accertamenti bancari”.