«Per la pace fa più Trump dei ‘volenterosi’. Sono le opposizioni lontane dal mondo reale, il quadro è migliorato grazie alla nostra serietà. All’estero Meloni agisce con lucida serenità»
di Vincenzo R. Spagnolo
A ottobre girerete la boa dei tre anni di legislatura. La situazione dell’Italia è migliore o peggiore?
«Dal punto di vista economico, non tutto è già risolto. Gli italiani hanno ancora delle sofferenze. Lo vediamo quando si va a fare la spesa o dal fatto che le pensioni non sempre siano adeguate o di come non sia agevole l’accesso a un mutuo per una giovane coppia. Ma ci sono segnali che fanno comprendere che la direzione è giusta».
Quali, onorevole Donzelli?
«La Borsa di Milano ha raggiunto il massimo dal 2007, col 91,5% in più del valore relativo a quando questo governo si era insediato. Il Pil segnala una produzione in crescita, l’occupazione è aumentata, le agenzie di rating accordano più fiducia all’Italia, lo spread è sceso sotto i 100 punti base. Insomma, l’economia sta ripartendo. È merito delle scelte di Giorgia Meloni e del governo. E della riconquistata stabilità politica, che rassicura mercati, investitori e imprenditori e che ci consente di ragionare non sul piccolo cabotaggio, ma su soluzioni di lungo respiro».
Tuttavia, molte categorie produttive sono angosciate per la battaglia dei dazi avviata da Trump. E le opposizioni rimproverano alla Premier un’inerzia. È davvero così?
«No, le opposizioni non sono in contatto col mondo reale. I nostri esportatori – preoccupati per il clima di panico che si era verificato – apprezzano la lucida serenità con cui Giorgia Meloni agisce. Lei non ha indossato una delle due magliette in campo fra Europa e Stati Uniti in una sfida commerciale, ma ha vestito quella della diplomazia, giacché una ‘guerra’ tra Ue e Usa non serve a nessuno».
La situazione a Gaza, per citare la Premier, “è sempre più drammatica e ingiustificabile”. E c’è chi auspica una posizione italiana più intransigente col Primo ministro israeliano Netanyahu.
«Chi vuole provare a essere costruttore di pace, deve lavorare per la deescalation, non aumentare la tensione. Deve provare ogni strada utile a costruire il dialogo, non a interromperlo. Vale per il Medio Oriente – dove ve la soluzione ‘due popoli due Stati’ non si raggiungerà senza sconfiggere Hamas e facendo solo i tifosi – ma anche per l’Ucraina».
Già, l’Ucraina. Siete sicuri che la scelta adottata dalla Presidente del Consiglio di non salire sul treno per Kiev sia pagante?
«La passione per certe foto la ha solo chi vive la politica come ricerca della notorietà. Qui l’immagine che conta è un’altra: Trump che parla con Zelensky a San Pietro in occasione dei funerali di papa Francesco. Invece, quando alcuni partner europei hanno iniziato a discettare di ‘volenterosi’, di invio di truppe anche senza un ombrello Onu e senza una pace raggiunta, non hanno usato parole utili a costruire la pace in Ucraina».
Torniamo alla politica interna. I disservizi della sanità pubblica, le lunghe liste d’attesa per esami non vi preoccupano? Quanto ci vorrà prima che gli investimenti del governo producano effetti?
«Meno dei decenni impiegati da altri per smantellare il sistema sanitario, privilegiando gli sprechi agli investimenti, le clientele rispetto ai servizi e operando tagli lineari. Le soluzioni messe in campo sono valide, oltre al più ingente finanziamento mai visto nella sanità pubblica, ma ci vorrà del tempo. Intanto abbiamo messo alcuni mattoni: dal rinnovo contrattuale per i medici, all’aumento delle indennità per chi lavora al pronto soccorso e agli investimenti per la medicina d’urgenza. E il governo interverrà sulle Regioni che non fanno il proprio dovere».
Nella partita dei referendum su cittadinanza e lavoro, avete optato per il non voto. Non suona stonato, in un Paese che soffre già di un astensionismo preoccupante?
«Noi inviteremo sempre a votare per le politiche, le amministrative, le europee, dove il voto è un diritto e un dovere. Nei referendum, il quorum rende la scelta del non voto consapevole come il sì o il no: ciascuna delle tre è un’azione costituzionalmente garantita ed eticamente valida. In più, i quesiti sul lavoro sono quasi un congresso del Pd, in cui la parte di Schlein, che ha cambiato approccio su alcuni temi, sfida quella interna opposta. E questo francamente non ci appassiona».
Non vi appassiona neppure il tema della cittadinanza, così cruciale per centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze?
«Si tratta di un quesito demagogico. Più concreto è lavorare sui passaggi burocratici necessari a ottenere subito la cittadinanza, una volta trascorsi i 10 anni».
Un altro referendum deciderà ia sorti della riforma costituzionale sulla separazione delle carriere. Fino ad allora, la tensione con la magistratura resterà alta?
«Come abbiamo sempre detto, la riforma dell’ordinamento giudiziario non è contro i magistrati, ma in loro difesa perché li libererà dal giogo del correntismo. E lo stiamo ribadendo anche ai nuovi vertici dell’Anm, che restano fortemente critici, ma coi quali manteniamo aperta la porta del dialogo».