«35 milioni per il mondo delle biblioteche e dell’editoria, 10 milioni per le pagine culturali. Questo dimostra l’attenzione speciale che il governo vuole riservare all’editoria»
di Erika Pontini
Il ministro Alessandro Giuli ospite de La Nazione, nella sua tappa fiorentina annuncia provvedimenti a favore dei giovani e traccia un primo bilancio degli otto mesi al governo. Il Dl Cultura ha il pregio della concretezza, ma la difficoltà delle risorse impegnate.
«Le risorse non sono mai sufficienti e dovremmo aggiungere sempre uno zero, ma è un segnale molto forte: 35 milioni per il mondo delle biblioteche e dell’editoria, 10 milioni per le pagine culturali. Questo dimostra l’attenzione speciale che il governo vuole riservare all’editoria per aumentare quantità e qualità dell’offerta culturale dei giornali che hanno bisogno di ritrovare non solo le vendite, ma anche le firme dei grandi scrittori, i racconti…»
Ministro, come avvicinare i giovani alla cultura? Chi governa ha una responsabilità…
«Nel Dl c’è un capitolo che riguarda gli incentivi per gli under 35 per aprire librerie e l’idea di lavorare sulla siccità culturale delle aree interne, le stesse da cui si allontanano i giovani, ma c’è una riflessione per riformulare la Carta della cultura sulla capacità di accesso rispetto alle fasce deboli e, in modo accentuato, per premiare il merito dei giovani».
Le fondazioni liriche sopravvivono con i contributi pubblici o si può di intervenire con partnership private sul modello americano?
«Quando cito Olivetti, mi riferisco a un importante imprenditore non a caso. Ci sono risorse latenti, soggetti che possono essere ridestati, galvanizzati e lo dico a Firenze, città del mecenatismo. Sta alle istituzioni pubbliche risvegliare energie e il Mic sta creando reti».
Lei difende la proposta di intitolare una rotonda a Firenze al filosofo Giovanni Gentile, bocciata dal Pd. Aldo Cazzullo sostiene che non sia possibile celebrarlo.
«Non voglio arrivare allo scontro. Ricordo che Glauco Della Porta, democristiano, intitolò una via a Gentile. Ho giurato sulla Costituzione con orgoglio, ma sbaglio se dico che, invece di storicizzare Gentile, non si riesce a trasformarlo in una rotonda sul male? Quanto a Cazzullo cosa non farebbe per un lettore in più».
Sergio Ramelli, domani sono 50 anni dalla sua morte. Lei ne ha parlato recentemente. Perché fa ancora male pronunciare quel nome e a suo avviso è una storia che deve essere raccontata?
«È una storia da raccontare perché tragicamente esemplare, un ragazzino ammazzato in malo modo in età acerba, e in un contesto in cui il consiglio comunale della città in cui è stato ucciso ha applaudito alla notizia del suo assassinio. Anche qui si tratta di onorare la verità della storia senza reticenze e senza ambiguità. Per anni la storia di tanti giovani ammazzati a destra è stata studiata in modo semi clandestino. Non ci deve essere una visione unilaterale ma comportarsi in modo equanime rispetto alla vittime del terrorismo».
È uscito per Baldini+Castoldi Antico presente. Viaggio nel sacro vivente con una prefazione di Andrea Carandini. Un tuffo nel passato, che cosa insegna?
«Il messaggio è che siamo costruttivamente immersi nell’essenza del mondo, tutto è ancora vivo. La riattualizzazione del mito avviene in ogni sua forma, nel dialogo tra antico e contemporaneo. Il tutto è una chiave per leggere la realtà di chi ci ha preceduto e che ci ha lasciato in eredità, senza pensare che siamo padroni del tempo. Insomma, tutto torna».
Ha nostalgia di fare il giornalista?
«A volte mi prudono le mani, ma non sono nostalgico».
E che avrebbe scritto oggi di Trump e Musk?
«Che è l’unica classe dirigente americana a disposizione, bisogna trattare, parlare senza pregiudizi, misurandone le sgrammaticature che ci sono state. Nel caso di Musk dettate dall’inesperienza politica. Noi Europa siamo arrivati impreparati alla seconda presidenza Trump».
Quale il lascito di Papa Francesco comunicatore, si potrà tornare indietro?
«I cristiani dicono che lo Spirito Santo soffia dove gli pare, non possiamo dare nulla per scontato, nemmeno rispetto al dopo Francesco, ma sicuramente non si potrà fare a meno della sua lezione comunicativa. Ma pur marcando principi nuovi la storia insegna che il sacro si fonda sul pathos della distanza».