Jan Palach: un fuoco che arde ancora nei cuori d’Europa

Cinquantasei anni fa, il giovane studente universitario si diede alle fiamme in piazza San Venceslao, a Praga, per restituire al suo popolo la speranza della libertà e lottare contro l’oppressione comunista

Un freddo gelido, di quelli che ti penetrano nelle ossa. Proprio come quel giovedì 16 gennaio del 1969. Aveva da poco finito di pranzare nella mensa universitaria di via Opletalova. Si coprì con la giacca, indossò il cappello e uscì. Camminò per qualche metro, poi si fermò di nuovo. Entrò in un negozio dove acquistò due contenitori di plastica: erano di colore bianco acceso. Si sistemò nuovamente la giacca ed uscì. Poi fece riempire le due taniche, entrambe con della benzina. A quel punto si incamminò con decisione verso piazza San Venceslao, nel centro di Praga. Quando arrivò erano le 14:25, circa. Si tolse il cappello. Poi la borsa, e infine la giacca. Li adagiò delicatamente sulle scalinate del Museo Nazionale. Poi si spostò di qualche passo. Con un piccolo coltellino aprì uno dei due contenitori stracolmi di benzina, lasciò cadere a terra il tappo e iniziò a cospargersi completamente il corpo di quel liquido infiammabile. Si diede fuoco. Era da giorni che ci pensava, adesso lo aveva fatto. E non poteva più tornare indietro.  

Mentre era in fiamme, cominciò a correre, molto velocemente. Così saltò il parapetto che lo divideva dalla fontana: voleva raggiungere la statua dedicata a San Venceslao, innalzata al centro della piazza. I passanti, attoniti, lo osservavano scrupolosamente. Poi iniziarono ad inseguirlo. Il primo che riuscì a raggiungerlo fu un tranviere, che tentò l’impossibile per spengere le fiamme: si tolse il cappotto e iniziò a scuoterlo ripetutamente con veemenza sul corpo di quel vent’enne. Ma le fiamme continuavano a resistere: il fuoco non si spegneva. Frattanto, stavano accorrendo sempre più persone.

Si era ormai radunata una piccola folla. Il suo corpo era arso dal fuoco, ma Jan, il giovane studente universitario, era ancora lucido. Chiedeva che fosse presa e letta una lettera che aveva riposto nella sua borsa, lasciata distante dalle fiamme per evitare che potesse bruciarsi. Era firmata. A chiare lettere, c’era scritto: “La Torcia numero uno”.

Arrivò presto un’ambulanza a prenderlo per portarlo in ospedale. Le sue parole ai medici furono inequivoche: “Non voglio suicidarmi, mi sono dato fuoco come fanno i buddisti in Vietnam, per protestare contro quel che succede qui, contro la mancanza di libertà di parola, di stampa e di tutto il resto”.

Le vie di Praga erano occupate dai carri armati comunisti. Gli stessi che qualche mese prima avevano invaso il Paese per reprimere, su ordine dell’Unione Sovietica, la ‘Primavera di Praga’: giovani e studenti erano scesi in piazza per chiedere riforme e ribellarsi all’occupazione di Mosca. Sogni e speranze che, però, furono infranti con inaudita violenza dai sovietici.

Non c’era libertà di stampa. Gli unici mezzi d’informazione erano la stazione collaborazionista ‘Vltava’ e la rivista sovietica ‘Zprávi’, che ogni giorno inondavano il Paese con la propaganda del regime. Era stato cancellato il diritto di riunione, e severamente vietati gli scioperi: ogni manifestazione antisovietica veniva soffocata nel sangue. Anche lo sciopero organizzato dal ‘Comitato d’azione studenti praghesi’ del 18 novembre fallì: la maggioranza della popolazione era impaurita, e scoraggiata.

Il popolo si era rassegnato all’occupazione comunista. Ma la Cecoslovacchia doveva reagire, e doveva farlo subito. Prima che diventasse troppo tardi. Jan Palach, guidato dall’amore per la libertà, non si arrese. Non lo fece mai. Voleva restituire la speranza al suo popolo. Risvegliare le coscienze ormai assopite. Impedire, con qualsiasi mezzo necessario, che la rassegnazione potesse prevalere sul diritto all’autodeterminazione. A qualsiasi costo.

E lo fece. Sacrificò il bene più prezioso in assoluto: la sua vita. Non fu un gesto di disperazione, ma un coraggioso – come non mai – grido di libertà che risuonò in tutta la Cecoslovacchia. E che riaccese molti cuori.

Da allora, tutti gli anni, in piazza San Venceslao, una ‘torcia’ si accende. Poi un’altra. E un’altra ancora. Una accende l’altra. Con estrema delicatezza, in religioso silenzio. Tira forte il vento, ma non scalfisce le fiamme, che resistono. Non si spengono. Si illuminano sempre più intensamente. Ad accenderle sono mani fredde, che si avvicinano piano piano, con cura, e appiccano il fuoco consapevoli di portare sulle spalle il dovere del ricordo della ‘Torcia’ che, per prima, le ha accese tutte. Ed anche di quelle dopo. Adesso illuminano Praga, e tutta l’Europa.

Jan, il tuo fuoco arde ancora nei cuori d’Europa.